Delia amava la solitudine.
Ci stava bene dentro.
Aveva tutto lo spazio che voleva, ma vi era posto solo per lei e lei soltanto.
Stava bene da sola e non considerate questa forma di ermetismo come uno scudo, una difesa dal mondo, una forma di sociopatia, era solo uno stile di vita.
Viveva in un grigio monolocale con una farfalla come animale domestico, che stava lì, sulla parete, sottile, immobile.
Uno schizzo impercettibile di colore.
Delia stava ore con la faccia appiccicata al freddo muro e le parlava della vita, dei libri, della musica, dell'originale crudeltà dell'uomo, della sua precaria lucidità dominata dal vizio e dalla dipendenza, della prigione della materia, del fuoco distruttivo dell'esaltazione, degli alberi ricoperti di cenere umana e di Vittorio, di Vittorio che rendeva piccolo il suo universo, già così incerto.
Vittorio, così simile a lei e così passeggero, che invadeva la sua intimità con l'aria, l'acqua, il fuoco e la terra senza poter prendere un frammento di essi.
Vittorio, che le ricopriva lo spirito di schegge e le mani di baci.
Vittorio, che le parlava degli occhi del mondo e la faceva sentire piccola e affamata.
Vittorio, che la sporcava di fango e le puliva le ferite.
Così parlava alla farfalla, l'unica che rispettava la sua immacolata solitudine, che a volte accennava un battito d'ali, indifferente e comprensiva.
Ma le cose belle svaniscono rapidamente, lasciando una scia di vuoto, diverso dalla solitudine, simile ad un bozzolo di seta schiuso.
Lady H.
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