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cenere calda.



Era l’alba.
Un timido sole filtrava tra gli alberi, appena caldo, appena luminoso.

Ma lei restava ferma lì, appoggiata al pilastro di legno del portico, avvolta da una coperta che profumava di ricordi.
Avrebbe voluto fermare il tempo perché, si sa, la luce spazza via ogni residuo di oscurità, la nebbia si dissolve mostrando ogni peccato commesso, una carezza mancata, uno sguardo fugace che in quel momento si conserva, come un fotogramma in loop di una pellicola rovinata.
E le sue guance presero vita.
Si portò le mani sul viso.
Avrebbe voluto mettere a suo posto ogni pensiero, sensazione, movimento, sospiro, eppure restava immobile, paralizzata dalla reminiscenza di quella biblioteca disordinata di emozioni.

Un grammofono suonava note graffiate su, da qualche parte e fu scossa da brividi.
Tutte le persone che amava erano lì: suo padre e sua madre che ballavano appena, sua nonna che li guardava, suo nonno che con un cappello calato sulla testa sorrideva e lui lì, accanto a lei, appoggiato anche lui al pilastro del portico, a braccia conserte e la guardava, la guardava come se esistesse solo lei, come se non riuscisse a parlare, come se bastasse averla lì, accanto a lui.
Non importa se con le rughe, i capelli bianchi e malandata.
Lei era un'esplosione di onde marine.

Quando aprì gli occhi ci mise qualche secondo prima di riabituarsi alla luce del mattino, all'aria nei polmoni, alle lacrime agli occhi, alla realtà.

E rientrò.
E mise un disco su quel grammofono impolverato, dimenticato dalla musica, finalmente vivo.

Una melodia  che riempì di cenere calda quella casa così grande e così vuota.



Lady H.


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